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 Ignoranza, provincialismo e demagogia populista

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mario
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MessaggioTitolo: Ignoranza, provincialismo e demagogia populista   Ignoranza, provincialismo e demagogia populista EmptyMar Nov 25, 2008 8:49 pm

Finita la commedia (in italiano nel testo, ndr).
Molte cose sono finite quando Barack Obama è stato eletto 44˚presidente degli Stati Uniti.
Qualunque sia la fede politica, noi tutti - repubblicani e democratici - dovremmo brindare al rientro del governatore Sarah Palin a Juneau, in Alaska.
La farsa della Palin è già entrata nella leggenda
e per almeno una generazione terrà occupati gli storici presidenziali e i comici di seconda serata
, il che non è poco.
Ma sarebbe un peccato se le risate soffocassero ogni seria riflessione su questo bizzarro fenomeno.

Nelle parole di Jane Mayer, di recente apparse sul New Yorker («The Insiders », 27 ott. 2008),
la scelta di John McCain non è stata un caso, né un momento di debolezza senile, né un gesto di disperazione, bensì il risultato di una lunga campagna condotta da illustri intellettuali di destra per trovare un giovane leader populista al quale attaccare il loro carro in futuro.

E non si tratta di intellettuali da strapazzo, ma dei direttori del National Review e del Weekly Standard, testate che si proclamano eredi del conservatorismo raffinato di William F. Buckley e della ponderosa serietà dei neocon newyorkesi.
Dopo il lancio di Sarah Palin, tuttavia, si può tranquillamente affermare che quelle tradizioni intellettuali sono ufficialmente scomparse.


Sarah Palin Ignoranza, provincialismo e demagogia populista 860_tn

Strani scherzi del destino.
Negli ultimi quarant'anni la destra americana ha conosciuto una costante ascesa politica, dietro la spinta non indifferente della fioritura dei suoi intellettuali.
Nel 1955 il sociologo Daniel Bell pubblicava una raccolta di saggi sulla «nuova destra americana», nella quale vedeva una forza profondamente anti intellettuale, posizione rispecchiata qualche anno dopo nell'influente studio L'anti-intellettualismo nella vita americana (1963) di Richard Hofstadter.

Nel corso di poco più di un decennio, però, la situazione mutò radicalmente.
Riviste come la Public Interest e Commentary divennero un passaggio obbligato per chiunque si interessasse seriamente di politica interna ed estera.
A Washington e in molte università spuntarono numerosi istituti di ricerca di ispirazione conservatrice, capaci di offrire una nuova prospettiva sulla vita pubblica.
Buckley, Irving Kristol, Nathan Glazer, Daniel Patrick Moynihan, Gertrude Himmelfarb, Peter Berger, Jeane Kirkpatrick, Norman Podhoretz:
che si fosse d'accordo o in contrasto con le loro opinioni, questi erano gli intellettuali da prendere sul serio.

Raggiunta la maggior età nei tetri anni Settanta, quando il liberalismo sembrava del tutto esaurito, ricordo ancora il forte impatto emotivo nell'imbattermi per la prima volta nei loro scritti.
Scoprii Public Interest la settimana del rapimento di Patty Hearst da parte della Symbionese Liberation Army, e le sue pagine mi offrirono riparo dalla tempesta, dalle folle di manifestanti per le strade, dagli atteggiamenti radicali dei professori e compagni di università, dalla perplessità dei liberal in limousine, dalla follia stessa della politica post-anni Sessanta.

All'epoca la politica conservatrice, ai miei occhi, contava meno del comportamento misurato dei suoi intellettuali.
Ne ammiravo la maturità e serietà, la prospettiva storica, il senso delle proporzioni. In un Paese esposto al rischio di demagoghi e di imbonitori in politica, costoro studiavano le passioni della vita democratica senza esserne vittima.
Formavano un'élite che non era in cerca di giustificazioni, ma che amava la democrazia e le offriva il suo contributo.

Che cosa è successo?
Come hanno potuto, trent'anni dopo, i giovani intellettuali di destra lanciare un candidato come Sarah Palin,
la cui ignoranza,
provincialismo
e demagogia populista
rappresentano tutto quello contro cui avevano lottato gli anziani maestri?
È una triste storia che prende avvio negli anni Ottanta,
quando i conservatori di spicco, frustrati da una stampa e da un mondo accademico con simpatie a sinistra,
cominciarono a parlare di «una cultura intellettuale antagonista».

Era una frase mutuata dal grande critico letterario Lionel Trilling,
per descrivere il disagio che minava le certezze delle società liberal.
A quel punto l'idea venne ripresa e distorta da conservatori furibondi
che, vedendo nemici in ogni luogo, decisero di scendere in lizza a fianco dell'«uomo della strada»
,
che conoscevano a malapena. Nel 1976 Irving Kristol confidava i suoi crucci sulla «paranoia populista», che sembrava voler «sovvertire quelle stesse istituzioni e autorità che la repubblica democratica aveva tanto faticosamente creato per assicurare un governo indipendente».


Alla metà degli anni Ottanta, dalle pagine di questo giornale Kristol rivelava ai suoi lettori che
il «buon senso dell'uomo della strada » su questioni come istruzione e criminalità erano state tradite dai «nostri politici e intellettuali disorientati»,
ragion per cui «tante persone - me compreso - che solitamente paventano la rinascita del populismo, di colpo si mettono a guardare di buon occhio la ricomparsa di questo fenomeno ».

Il dado era tratto. Nel corso dei 25 anni successivi è cresciuta una nuova generazione di scrittori conservatori
che non hanno coltivato nessuna delle virtù intellettuali dei loro predecessori, anzi, si sono definiti anti-intellettuali.

Per la maggior parte si tratta di persone colte, che hanno studiato nelle più prestigiose università.
L'ideatore della candidatura della Palin è stato addirittura professore a Harvard.
Ma la loro funzione in seno al movimento conservatore non è più quella di educare ed elevare la tendenza politica populista,
bensì difenderla contro le classi istruite, che ai loro occhi appaiono compatte e indistintamente ostili.
Costoro si fanno beffe delle raccomandazioni degli economisti insigniti del premio Nobel, mentre esaltano l'acume finanziario di idraulici e palazzinari.

Gettano il ridicolo su ambasciatori e diplomatici, mentre appoggiano i giornalisti più fanatici che non sono mai vissuti all'estero e non conoscono una seconda lingua.
Con la diffusione di radio e televisione scandalistiche, hanno trovato un vasto pubblico popolare che assorbe beato il loro disprezzo per gli intellettuali.
Se speravano di condizionare quel pubblico, la verità è che oggi ne sono essi stessi condizionati.


Negli anni Settanta, gli intellettuali di destra amavano parlare del radical chic,
la ben nota tendenza di tanti liberal colti, e spesso agiati, a proiettare le loro fantasie politiche sui rivoluzionari più biechi e comuni delinquenti per idealizzarne le «battaglie».
Ma se il populist chic è l'opposto del radical chic, non è meno assurdo, ridicolo e pericoloso di quello.
La destra tradizionale ha sempre guardato con sospetto il populismo, e a ragione.

Essa vedeva nelle élite una realtà della vita politica, anche della vita democratica.
In democrazia, ciò che conta è che queste élite raggiungano la loro posizione grazie al talento e alle capacità, e che siano indirizzate a servire il bene comune.
Ma conta anche che sappiano riconoscere la loro posizione e ne tutelino la sopravvivenza.
Esse devono essere amiche della democrazia proteggendola, e proteggendo se stesse, dall'appiattimento e dall'involgarimento cui tende ogni democrazia.

In un recente articolo nel New York Times, David Brooks fa notare correttamente (anche se in ritardo) che
il «disprezzo» dei conservatori verso gli intellettuali liberal è decaduto nel «disprezzo per la classe colta nel suo insieme»,
e vede con preoccupazione nel Partito repubblicano la tendenza ad allontanare gli elettori colti.
Personalmente, non temo per il futuro del Partito repubblicano, bensì per la qualità del pensiero e del giudizio politico in questo Paese.

Tempo addietro gli intellettuali di destra contribuivano a innalzare il livello del dibattito pubblico in America
e a mantenerlo nei giusti limiti. Oggi non è più così.

In quanto a giudizio politico, il lancio di Sarah Palin quale possibile leader mondiale non ha bisogno di ulteriori commenti.
Il Partito repubblicano e la destra politica continueranno per la loro strada,
ma la tradizione intellettuale di destra è già morta.
E noi tutti, anche i liberal come me, ne lamentiamo la perdita.


Mark Lilla per il "Corriere della Sera" [25-11-2008]
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MessaggioTitolo: Re: Ignoranza, provincialismo e demagogia populista   Ignoranza, provincialismo e demagogia populista EmptyMar Nov 25, 2008 9:19 pm

Luxuria: "Ora la sinistra mi critica ma vado avanti"


Milano - Anche questa volta, Vladimir Luxuria, al secolo Vladimiro Guadagno, è riuscita a far parlare di sè. Dopo essere sopravvissuta ai pericoli della vita parlamentare è uscita vincente anche dal lavacro dei reality show. E oggi, fanno tutti il tifo per lei. Quasi tutti.

La vincitrice: ora favole transgender per bambini Che cosa farà ora Vladimir dopo la brillante vittoria? "Scriverò un libro di favole transgender per bambini - ha detto all’Agi, appena rientrata da Milano - ho un contratto con la Bompiani e inizierò a lavorare a questo mio progetto a maggio". Sempre ai bambini, Luxuria ha dedicato una parte del premio vinto con l’Isola. "Ho scelto di devolvere la somma all’Unicef - ha spiegato - volevo fare qualcosa per i più piccoli e per i ragazzi. L’Unicef credo sia un’associazione veramente meritoria".

Prc: offresi seggio all'europee, ma lei non ci sta Dall'Honduras a Strasburgo, in zattera. Il passo potrebbe essere breve. La "Lucy", come la chiamavano i colleghi di naufragio, non ha fatto in tempo a mettere piede a terra, che già fioccavano offerte e interpretazioni politiche. Dietro la vittoria di Vladimir Luxuria all’Isola dei Famosi c’è una valenza politica "nel senso di costume, di apertura mentale, di modelli umani" ha dichiarato Paolo Ferrero ad "Affaritaliani.it". E dalla vittoria televisiva, passando per quella politica, si passa subito all'antropologia. Secondo il segretario del Prc, Luxuria è "un modello antropologico molto positivo dal mio punto di vista". Luxuria potrà ancora avere un ruolo in Rifondazione? "Se lei ritiene, assolutamente sì". Quanto alla candidatura alle europee "deciderà Vladimir", ma "per quanto mi riguarda ovviamente sì. Però lei mi aveva già manifestato l’idea di stare un passo indietro e quindi di non essere più sul terreno della rappresentanza politica. Ma se vuole -ribadisce Ferrero- saremo certamente felici di candidarla alle elezioni europee". Ma Vladimir congela subito l'offerta del segretario del Prc: "Già dopo la sconfitta elettorale avevo dichiarato che non vedevo le europee nel mio futuro immediato. Confermo questa idea, quindi escludo nel mio futuro immediato una candidatura alle elezioni europee. Ringraziando ovviamente la disponibilità di Rifondazione comunista, sia prima sia dopo".

Arcigay: "Vittoria storica" Primi a festeggiare, gli amici dell'Arcigay: "La nostra felicità è tanta. Vladimir Luxuria ha vinto meritatamente L’Isola dei Famosi e questo rappresenta un fatto importante, una svolta storica nel costume del nostro Paese, che salutiamo con grande soddisfazione". Lo ha affermato Aurelio Mancuso presidente nazionale Arcigay. "In queste lunghe settimane di programmazione del reality -aggiunge Mancuso- l’abbiamo convintamente sostenuta perchè sapevamo quanto fosse importante che una persona transgender potesse competere per vincere una trasmissione popolare".

Mussolini tifa Luxuria La vittoria dell'ex parlamentare comunista attraversa il Transatlantico e arriva anche alla nipote di Benito Mussolini. "Sono davvero contenta per Wladimir Luxuria. Era quello che aveva cose da dire, da subito ho fatto il tifo a suo favore, perchè anche umanamente lo trovo simpatico". Lo ha dichiarato all'Adnkronos Alessandra Mussolini, leader di Azione sociale, a proposito della vittoria dell’ex parlamentare del Prc all’Isola dei famosì. Solidarietà fra politici? Nemmeo per sogno. "Ma no, abbiamo pure litigato diverse volte. È che ha mostrato in questa occasione un altro lato di sè".

Udc: "Isola della vergogna" Tanti ma non tutti. La Luxuriamania, fenomeno plebiscitario verbalizato dallo share della finale (e dai seicentomila voti dei telespettatori), ha travolto tanti ma non tutti. Arriva netta e puntuale la replica dell'Udc, attraverso le parole di Maurizio Ronconi: "Che un programma della televisione pubblica alla quale i cittadini pagano il canone, erga ad eroina nazionale un transgender come se questa condizione sia da esaltare, è semplicemente scandaloso. Nessuno immagina di emarginare qualcuno ma da qui a celebrare la così detta "Luxuria" ci passa, così come è inimmaginabile che la stessa Luxuria possa essere portata ai giovani come esempi". È quanto ha affermato l’esponente dell’Udc, Maurizio Ronconi, in merito alla vittoria dell’ex parlamentare del Prc all’Isola dei famosi. "Più che Isola dei Famosi, l’Isola della vergogna, un programma diseducativo che esalta "le eccezioni", le tresche e le corna a distanza, ha dato la misura di quanto sia ormai scadente il prodotto di una Rai che per le condizioni in cui è ridotta sarebbe meglio privatizzare da subito. Tanto non offre più alcun servizio pubblico e di pubblico -sottolinea Ronconi- ha solo il canone".

Gardini: "Buon per lei, meno per la Rai" Tiepida anche Elisabetta Gardini, ex portavoce di Forza Italia e protagonista di un'ormai storica querelle con Vladimir circa le toilettes di Montecitorio. "Ben venga la vittoria di Vladimiro Guadagno che dimostra come da parte degli italiani non ci sia nessuna discriminazione come non c’è mai stata da parte mia. Dopo di che mi preoccupa che un programma come "L’Isola dei Famosi" sia diventato lo show di punta del servizio pubblico radiotelevisivo".

Il Giornale, 25/11/2008
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