Finita la commedia (in italiano nel testo, ndr).
Molte cose sono finite quando Barack Obama è stato eletto 44˚presidente degli Stati Uniti.
Qualunque sia la fede politica, noi tutti - repubblicani e democratici - dovremmo brindare al rientro del governatore Sarah Palin a Juneau, in Alaska.
La farsa della Palin è già entrata nella leggenda
e per almeno una generazione terrà occupati gli storici presidenziali e i comici di seconda serata, il che non è poco.
Ma sarebbe un peccato se le risate soffocassero ogni seria riflessione su questo bizzarro fenomeno.
Nelle parole di Jane Mayer, di recente apparse sul
New Yorker («The Insiders », 27 ott. 2008),
la scelta di John McCain non è stata un caso, né un momento di debolezza senile, né un gesto di disperazione, bensì il risultato di una lunga campagna condotta da illustri intellettuali di destra per
trovare un giovane leader populista al quale attaccare il loro carro in futuro. E non si tratta di intellettuali da strapazzo, ma dei
direttori del National Review e del Weekly Standard, testate che si proclamano eredi del conservatorismo raffinato di William F. Buckley e della ponderosa serietà dei neocon newyorkesi. Dopo il lancio di Sarah Palin, tuttavia, si può tranquillamente affermare che quelle tradizioni intellettuali sono ufficialmente scomparse.
Sarah Palin
Strani scherzi del destino.
Negli ultimi quarant'anni la destra americana ha conosciuto una costante ascesa politica, dietro la spinta non indifferente della fioritura dei suoi intellettuali.
Nel 1955 il sociologo Daniel Bell pubblicava una raccolta di saggi sulla «nuova destra americana», nella quale vedeva una forza profondamente anti intellettuale, posizione rispecchiata qualche anno dopo nell'influente studio L'anti-intellettualismo nella vita americana (1963) di Richard Hofstadter.
Nel corso di poco più di un decennio, però, la situazione mutò radicalmente. Riviste come la Public Interest e Commentary divennero un passaggio obbligato per chiunque si interessasse seriamente di politica interna ed estera.
A Washington e in molte università spuntarono numerosi istituti di ricerca di ispirazione conservatrice, capaci di offrire una nuova prospettiva sulla vita pubblica.
Buckley, Irving Kristol, Nathan Glazer, Daniel Patrick Moynihan, Gertrude Himmelfarb, Peter Berger, Jeane Kirkpatrick, Norman Podhoretz:
che si fosse d'accordo o in contrasto con le loro opinioni, questi erano gli intellettuali da prendere sul serio.
Raggiunta la maggior età nei tetri anni Settanta, quando il liberalismo sembrava del tutto esaurito, ricordo ancora il forte impatto emotivo nell'imbattermi per la prima volta nei loro scritti.
Scoprii Public Interest la settimana del rapimento di Patty Hearst da parte della Symbionese Liberation Army, e le sue pagine mi offrirono riparo dalla tempesta, dalle folle di manifestanti per le strade, dagli atteggiamenti radicali dei professori e compagni di università, dalla perplessità dei liberal in limousine, dalla follia stessa della politica post-anni Sessanta.
All'epoca la politica conservatrice, ai miei occhi, contava meno del
comportamento misurato dei suoi intellettuali.
Ne ammiravo la maturità e serietà, la prospettiva storica, il senso delle proporzioni. In un Paese esposto al rischio di demagoghi e di imbonitori in politica, costoro studiavano le passioni della vita democratica senza esserne vittima. Formavano un'élite che non era in cerca di giustificazioni, ma che amava la democrazia e le offriva il suo contributo.
Che cosa è successo?
Come hanno potuto, trent'anni dopo, i giovani intellettuali di destra lanciare un candidato come Sarah Palin,
la cui ignoranza,
provincialismo
e demagogia populista
rappresentano tutto quello contro cui avevano lottato gli anziani maestri?
È una triste storia che prende avvio negli anni Ottanta,
quando i conservatori di spicco, frustrati da una stampa e da un mondo accademico con simpatie a sinistra,
cominciarono a parlare di «una cultura intellettuale antagonista».
Era una frase mutuata dal grande critico letterario Lionel Trilling,
per descrivere il disagio che minava le certezze delle società liberal.
A quel punto l'idea venne ripresa e distorta da conservatori furibondi
che, vedendo nemici in ogni luogo, decisero di scendere in lizza a fianco dell'«uomo della strada»,
che conoscevano a malapena. Nel 1976 Irving Kristol confidava i suoi crucci sulla
«paranoia populista», che sembrava voler
«sovvertire quelle stesse istituzioni e autorità che la repubblica democratica aveva tanto faticosamente creato per assicurare un governo indipendente».
Alla metà degli anni Ottanta, dalle pagine di questo giornale Kristol rivelava ai suoi lettori che
il «buon senso dell'uomo della strada » su questioni come istruzione e criminalità erano state tradite dai «nostri politici e intellettuali disorientati»,
ragion per cui «tante persone - me compreso - che solitamente paventano la rinascita del populismo, di colpo si mettono a guardare di buon occhio la ricomparsa di questo fenomeno ».
Il dado era tratto. Nel corso dei 25 anni successivi è cresciuta una nuova generazione di scrittori conservatori
che
non hanno coltivato nessuna delle virtù intellettuali dei loro predecessori, anzi, si sono definiti anti-intellettuali. Per la maggior parte si tratta di persone colte, che hanno studiato nelle più prestigiose università.
L'ideatore della candidatura della Palin è stato addirittura professore a Harvard.
Ma la loro funzione in seno al movimento conservatore non è più quella di educare ed elevare la tendenza politica populista,
bensì difenderla contro le classi istruite, che ai loro occhi appaiono compatte e indistintamente ostili.
Costoro si fanno beffe delle raccomandazioni degli economisti insigniti del premio Nobel, mentre esaltano l'acume finanziario di idraulici e palazzinari.
Gettano il ridicolo su ambasciatori e diplomatici, mentre appoggiano i giornalisti più fanatici che non sono mai vissuti all'estero e non conoscono una seconda lingua.
Con la diffusione di radio e televisione scandalistiche, hanno trovato un
vasto pubblico popolare che assorbe beato il loro disprezzo per gli intellettuali.
Se speravano di condizionare quel pubblico, la verità è che oggi ne sono essi stessi condizionati. Negli anni Settanta, gli intellettuali di destra amavano parlare del radical chic,
la ben nota tendenza di tanti liberal colti, e spesso agiati, a proiettare le loro fantasie politiche sui rivoluzionari più biechi e comuni delinquenti per idealizzarne le «battaglie».
Ma se il populist chic è l'opposto del radical chic, non è meno assurdo, ridicolo e pericoloso di quello.
La destra tradizionale ha sempre guardato con sospetto il populismo, e a ragione.
Essa vedeva nelle élite una realtà della vita politica, anche della vita democratica.
In democrazia, ciò che conta è che queste
élite raggiungano la loro posizione grazie al talento e alle capacità, e che siano indirizzate a servire il bene comune.
Ma conta anche che sappiano riconoscere la loro posizione e ne tutelino la sopravvivenza.
Esse devono essere amiche della democrazia proteggendola, e proteggendo se stesse, dall'appiattimento e dall'involgarimento cui tende ogni democrazia.
In un recente articolo nel New York Times, David Brooks fa notare correttamente (anche se in ritardo) che
il «disprezzo» dei conservatori verso gli intellettuali liberal è decaduto nel «disprezzo per la classe colta nel suo insieme»,
e vede con preoccupazione nel Partito repubblicano la
tendenza ad allontanare gli elettori colti.
Personalmente, non temo per il futuro del Partito repubblicano, bensì per la qualità del pensiero e del giudizio politico in questo Paese.
Tempo addietro gli intellettuali di destra contribuivano a innalzare il livello del dibattito pubblico in America
e a mantenerlo nei giusti limiti. Oggi non è più così.
In quanto a giudizio politico, il lancio di Sarah Palin quale possibile leader mondiale non ha bisogno di ulteriori commenti.
Il Partito repubblicano e la destra politica continueranno per la loro strada,
ma
la tradizione intellettuale di destra è già morta. E noi tutti, anche i liberal come me, ne lamentiamo la perdita.
Mark Lilla per il "Corriere della Sera" [25-11-2008]