| | L’influenza suina e il potere dell’industria alimentare | |
| | Autore | Messaggio |
---|
vidaloca Fagiano di primo pelo
Messaggi : 11 Data di iscrizione : 03.05.09
| Titolo: L’influenza suina e il potere dell’industria alimentare Dom Mag 03, 2009 2:12 pm | |
| di Mike Davis
L’influenza suina messicana, una chimera genetica probabilmente concepita nel limo fecale di una porcilaia industriale minaccia con una nuova pandemia influenzale tutto il mondo. Focolai in America del Nord rivelano un'infezione che ora viaggia ancora più velocemente di quanto abbia fatto l'ultimo ceppo che ha causato una pandemia, l'influenza di Hong Kong nel 1968.
Rubando il ruolo di protagonista all’ultimo assassino ufficialmente riconosciuto, il virus H5N1, il virus dell’influenza suina rappresenta una minaccia di grandezza sconosciuta. Sembra meno letale della epidemia di SARS [sindrome respiratoria acuta, per la sua sigla in inglese], che scoppiò nel 2003 ma, come l'influenza, potrebbe rivelarsi più durevole della SARS. Poiché l’addomesticato virus di tipo A della influenza stagionale uccide circa un milione di persone l'anno, anche un modesto aumento della virulenza, specialmente se combinata con una alta incidenza, potrebbe produrre l'equivalente della carneficina prodotta da una guerra importante.
La sua prima vittima è stata la fede predicata negli anni del neoliberismo dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) circa la possibilità di contenere le pandemie, con risposte immediate per la salute da parte di piccole burocrazie sanitarie indipendentemente dalla qualità della sanità pubblica locale. Dopo i primi decessi da H5N1 nel 1997 a Hong Kong, l'OMS, con il sostegno della maggior parte delle autorità sanitarie nazionali, ha promosso una strategia focalizzata sulla identificazione e l'isolamento di un ceppo pandemico all’interno del raggio del focolaio iniziale di azione, puntando sulla successiva somministrazione di massa di farmaci antivirali e vaccini, per avere la meglio sulla nuova infezione.
Una legione di scettici ha criticato l’efficacia di questo approccio per contrastare le nuove malattie di origine virale, dato che, con la globalizzazione i microbi possono volare in tutto il mondo (quasi letteralmente in caso di influenza aviaria) con una velocità superiore a quella con cui l’OMS o funzionari locali possono arrivare a reagire al focolaio originale. I critici hanno anche rilevato la primitiva e spesso inesistente rete di vigilanza necessaria per monitorare l'interfaccia tra malattie umane e animali, sacrificata, come la vigilanza sui derivati e quella sull’ambiente, sull’altare del “laissez faire”, tanto il mercato si regola da solo.
Ma il mito di un coraggioso intervento, preventivo (ed economico) contro l'influenza aviaria si è rivelato prezioso per la causa dei paesi ricchi, come Stati Uniti e Regno Unito, che hanno preferito investire nelle proprie linee Maginot con nuovi farmaci e vaccini brevettati, piuttosto che aumentare adeguatamente gli aiuti a favore dei paesi che dovevano fronteggiare le nuove epidemie. Così come questo mito ha sorretto le grandi imprese transnazionali di farmaci nella guerra senza quartiere contro le richieste dei paesi in via di sviluppo di promuovere la pubblica produzione di farmaci antivirali generici, mettendo a disposizione di tutti, farmaci come il Tamiflu, elaborato dalla società statunitense di cui è azionista Donald Rumfeld ed ora brevettato da Roche, cosi che ambedue le società stanno ora facendo affari d’oro.
La strategia fornita dalla OMS e da altri autorevoli Centri per il controllo delle malattie, che si propone di far fronte alla sempre più probabile pandemia, senza ulteriore necessità di massicci investimenti in nuove strutture per la sorveglianza e nuove norme che consolidino le infrastrutture, della sanità pubblica di base e senza garantire accesso globale ai farmaci vitali ora viene decisamente messa alla prova dalla influenza suina, e forse permetterà di scoprire che appartiene allo stesso livello di gestione "ponzificada" del rischio già dato dalle garanzie e dagli obblighi offerti dai molti Madoff . Non è così difficile prevedere che questa strategia non funzionerà , dato che il sistema semplicemente non esiste: e lo si può vedere fin da ora: almeno centinaia di morti in Messico, con scorte ridicole di farmaci al contrario che negli USA e in Europa.
.Se non sorprende che il Messico sia privo di volontà politica e capacità di gestire le malattie del bestiame e del pollame, cosa dire di quanto si verifica a nord del confine, dove la sorveglianza è sminuzzata in un penoso mosaico di competenze e grandi imprese capitalistiche di allevamento affrontano le normative sanitarie con lo stesso disprezzo con cui tendono a trattare i lavoratori e gli animali. Allo stesso modo, i tanti avvertimenti che nel decennio passato si sono avuti sul piano scientifico non sono serviti a garantire il trasferimento della tecnologia sofisticata ma necessaria a mettere all’altezza i paesi che si trovano, con maggiore probabilità sulle rotte della nuova pandemia.
Il Messico ha esperti in materia di sanità pubblica, stimati in tutto il mondo, ma è costretto ad inviare i campioni ad un laboratorio a Winnipeg per la decodifica del genoma del ceppo, perdendo in tal modo una preziosa settimana di tempo prima di identificare il nuovo virus.
Il paradosso in tutto quello che sta accadendo è che tutto quello che ora è avvenuto è stato previsto con grande precisione, già sei anni fa, quando la rivista Science pubblicò un importante articolo per dimostrare che "dopo anni di stabilità, il virus dell’influenza suina del Nord America ha avuto un drammatico salto evolutivo", infatti, dal momento della sua identificazione nella Grande Depressione, questo virus ha avuto solo una leggera deriva dal suo originale genoma. Poi, nel 1998, una ceppo ad alta patogenicità cominciò a decimare un allevamento nel North Carolina e da allora hanno iniziato ad emergere nuove e più virulente varianti, anno dopo anno, tra cui una di H1N1 che conteneva all'interno geni H3N2, un virus influenzale che si diffonde tra gli esseri umani).
In quell’articolo su Science i ricercatori esprimevano la loro preoccupazione circa la possibilità che un tale ibrido potesse diventare un virus influenzale umano e sollecitavano la creazione di un sistema formale per monitorare l'influenza suina: ammonimento purtroppo, inascoltato da troppi, tra cui i politici che a Washington hanno buttato miliardi di dollari in una lotta contro stati canaglia supposti produttori di armi biologiche di distruzione di massa.
Per anni si è sostenuto che il sistema di agricoltura intensiva nel sud della Cina fosse il principale vettore di mutazione dei virus dell’influenza. Ma la industrializzazione della produzione di bestiame ha rotto il monopolio della Cina nel settore zootecnico, trasformato nel corso degli ultimi decenni in qualcosa che assomiglia di più all’industria petrolchimica e capace di produrre armi biologiche di distruzione di massa piuttosto efficienti. | |
| | | Lestaat Ucello
Messaggi : 185 Data di iscrizione : 04.07.08
| Titolo: Re: L’influenza suina e il potere dell’industria alimentare Dom Mag 03, 2009 3:38 pm | |
| DI VALERIO EVANGELISTI carmillaonline.com
Puerto Escondido, Oaxaca, Messico. Scrivo da un paese che sembra sprofondato nella follia. La località in cui mi trovo, nell’estremo sud, è stata finora risparmiata dalla “imperversante” influenza suina, che tanto clamore ha suscitato nel mondo e che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato con un grado di pericolosità 5, in una scala da 1 a 6. Malgrado la tranquillità che mi circonda, a ogni ora del giorno vedo in tv gente che circola con mascherine azzurre, medici che danno consigli alla popolazione, politici che dicono la loro (quale che sia il loro grado di competenza) supermercati presi d’assalto da turbe di compratori che vogliono fare scorta di alimenti in vista di un’improbabile carestia.
In tutto il paese sono chiusi da tre giorni i siti archeologici, i musei, i cinema e i teatri, le scuole e le università, molti uffici pubblici, molti complessi industriali. A Città del Messico un sindaco ambizioso, Marcelo Ebrard, in perenne competizione con il presidente del distretto e con il governatore dello stato, ha voluto mostrarsi più papista del papa: così ha ordinato la chiusura completa di bar, ristoranti, discoteche e locali notturni, visti quali potenziali luoghi di assembramento e di propagazione dell’influenza suina. Peccato che si sia scordato di chiudere anche la metropolitana, dove ogni giorno si ammassano cinque milioni di viaggiatori e che è certamente più affollata di un ristorante. Locali chiusi anche ad Acapulco e in altre città in cui l’influenza non si è manifestata per nulla. Il presidente della repubblica è apparso in tv a raccomandare alla gente di rimanere in casa propria, in tutto il paese. Perché tanto allarme? Vediamo le cifre ufficiali di un’epidemia così spaventosa da paralizzare l’intero Messico e da fare rischiare il collasso a un’economia già malridotta. Il 30 aprile i contagiati da influenza suina erano valutati in 99, con un totale di 7 (SETTE!) deceduti per complicazioni respiratorie – cioè per la degenerazione dell’influenza in broncopolmonite. Il Messico ha 100 milioni di abitanti, la capitale (dove si è verificata la metà dei casi) ne ha 20 milioni. Considerate le proporzioni, si direbbe che sia più probabile annegare nella propria vasca da bagno che morire di influenza suina. Inoltre, va tenuto presente che un’influenza “ordinaria”, in Messico, comporta in media 1600 decessi per complicazioni respiratorie , e addirittura 26.000 negli Stati Uniti. Non iniziate a intuire la patacca?
Oggi 1° maggio, mentre scrivo, il consueto briefing mattutino delle autorità sanitarie messicane (perennemente scortate da membri della OMS) si è aperto con un annuncio rassicurante: i contagiati sono SCESI a 121, i morti sono SCESI a 12 (DODICI). Pare che nessuno ricordi ciò che era stato detto il giorno prima. E la mancanza di memoria non riguarda solo politici e sanitari. Dopo Cuba e Argentina, anche Israele ha annunciato la sospensione di tutti i voli verso il Messico – senza ricordare che non esiste alcun volo diretto Israele-Messico. Insomma, un delirio totale. Che ne è dei 3000 contagiati e dei 159 morti annunciati il 23 aprile, quando tutta la faccenda è cominciata? Semplicemente si è scoperto che per lo più si trattava di casi di influenza normale e del doloroso, ma inevitabile, seguito di decessi di soggetti a rischio. L’importante è mettere la mascherina, distribuita in milioni di esemplari, alla popolazione, per quanto sia troppo porosa per fermare il virus (tanto quello ordinario quanto quello suino), e quest’ultimo sopravviva nell’aria solo pochi secondi. Interrogate in merito, le autorità hanno ammesso l’inutilità del bavaglio (di cui la tv raccomanda ossessivamente l’uso), e detto che si tratta di un metodo per “rassicurare la popolazione”. Ma perché un’influenza così sporadica (i casi, in tutto il mondo, sarebbero al momento 331) suscita tanto allarme? Perché si è verificata in aprile e non in inverno, è la prima risposta delle autorità. In realtà è una risposta dubbia: tra marzo e aprile, un’epidemia di influenza si è verificata anche in Italia (come può testimoniare un autorevole collaboratore di Carmilla), dovuta probabilmente all’alternanza di giorni caldi e giorni freddi, senza che nessuno andasse a scomodare i suini. Seconda risposta: si tratta di un virus di tipo “nuovo”, sconosciuto in precedenza (adesso battezzato A H1 N1). Ma se è nuovo, perché definirlo “suino”, quando nessun maiale messicano risulta malato di influenza e in grado di trasmetterla all’uomo? Perché ricorda un caso di influenza effettivamente suina accaduto mesi fa... negli Stati Uniti!
E qui forse ci avviciniamo alla radice del problema. Negli Usa i casi di influenza suina sono 121, di cui uno o forse due fatali (chi dice uno allude a un bambino messicano morto in California; ma dimentica un adulto statunitense deceduto in marzo). Malgrado questo, la OMS non sconsiglia i viaggi in California o a New York (altra sede del contagio), né prescrive le misure rigorose suggerite al Messico. Un motivo ci può essere. Nel 2005, sotto la presidenza messicana di Fox, furono effettuate “manovre congiunte” tra Ministero della Salute messicano e i suoi partner nel TLC (Trattato del libero commercio), Usa e Canada. Si simulò un’epidemia di influenza suina in Messico, e il CDC (Center for Disease Control) fornì istruzioni su come comportarsi in un caso del genere (tutto questo l’ho appreso da un documentario andato in onda ieri sera nell’ambito del programma Los Reporteros, di Televisa, a notte tarda). Quando un’influenza anomala si è manifestata in Messico, le autorità sanitarie locali non si sono rivolte ai quattordici laboratori messicani in grado di analizzare il virus eventuale, bensì direttamente al CDC e all’OMS, che hanno immediatamente decretato la pandemia e suggerito l’applicazione delle misure raccomandate al Messico tre anni prima. Così, a fronte di 7-12 morti e a 130 infettati (veri o presunti) 100 milioni di messicani devono girare con l’inutile mascherina “rassicurante” e starsene a casa, mentre la loro industria turistica va a pezzi. Invece i bar californiani sono regolarmente aperti e i turisti circolano liberamente. Dopo la mezza bufala dell’influenza aviaria, CDC e OMS (anche questa egemonizzata dagli Stati Uniti) colpiscono ancora. Solo che questa volta non è una bufala: è una porcata. | |
| | | | L’influenza suina e il potere dell’industria alimentare | |
|
Argomenti simili | |
|
| Permessi in questa sezione del forum: | Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.
| |
| |
| |