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 Le foyer du soldat in pillole. [Giugno 2009]

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Ucello Padulo
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MessaggioTitolo: Le foyer du soldat in pillole. [Giugno 2009]   Le foyer du soldat in pillole. [Giugno 2009] EmptySab Giu 06, 2009 12:19 pm

Le foyer du soldat in pillole. [Giugno 2009]
A cura di Mario Cecere, per ordinazioni: controventopg@libero.it


Emilio Gentile, Il culto del littorio, Laterza, Bari, 2005



Il Fascismo come ‘esperimento’ totalitario: Emilio Gentile racconta e condensa in quest’opera il patrimonio più intimo del movimento mussoliniano. Il corpo mistico-politico del Regime si accende come una religione civile che a tratti sovrasta quella tradizionale cattolica: il mito risorgimentale, il culto nazionale, la ritualità squadrista – temi, questi, particolarmente accentuati e valorizzati nel libro di Luca Fantini: Essenza mistica del fascismo totalitario- affiorano come forme radicalmente eversive dell’ordine liberal-borghese e clericale italiano e come il portato centrale e ineludibile della rivoluzione fascista. La sacralizzazione della politica e la divinizzazione della nazione, la “sborghesizzazione” in senso virile del culto reso alla patria, la valorizzazione dell’artista ‘militante’, impiegato per la liturgia rivoluzionaria dell’ “armonico collettivo”: l’eredità di Rosseau è accolta in pieno dai totalitarismi novecenteschi in una peculiare variazione de- costruttiva e rigeneratrice, sprovincialeggiante e affermativa, proiettata in una “metallica forma”, archetipale e nichilista, proprio nell’era degli incipienti fenomeni di attacco agli stati nazionali e alle residuali permanenze identitarie e simboliche contro cui agiranno i processi di integrazione capitalistica e di “interazione globale” (Toynbee) - ispirati e condotti, soprattutto, dalle allora potenze imperialiste del mare, secondo le catagogiche aritmie ‘sovrastrutturali’ imposte dall’involuzione tecno -scientista e ‘umanitaria’dei tempi.



Edward Bunker, Educazione di una canaglia, Einaudi, Torino, 2002



Tra i più irriverenti carnefici di se stesso, Edward Bunker è senz’altro, pure, tra i più valenti scrittori americani contemporanei: la cui grandezza travalica le misure di un genere- in questo caso, il noir- che bene si addice a farsi strumento di un’ infinita avventura mozzafiato a sfondo autobiografico. Bunker – nome il cui etimo originario, come ci rivela questo libro, è Bon Coeur, ma che tralignò a causa della perfidia anglosassone- trascorse più o meno metà della sua vita nei più duri penitenziari statunitensi, dove si costruì una cultura invidiabile fatta di interminabili eclettiche letture e scoprì quella profonda vocazione letteraria che ne impegnò, la restante metà, nello scrivere, guarda caso, di carcere e di malavita. Senza mai implorare la ‘comprensione’ della gente onesta, Bunker, che fu invitato in tarda età da Quentin Tarantino ad interpretare se stesso nel film Le jene, introduce la sua filosofia, quasi nietzscheamente immoralista, nel puritano mondo wasp dell’America razzista e ipocrita della democrazia da bere e da esportare. Codice d’onore rigoroso, aristocratico e spietato, spirito indomito e inflessibile nei riguardi di secondini e sorveglianti, il mondo carcerario frequentato e subito da Bunker è anche l’ultimo luogo ove gerarchie invisibili e incrollabili, spietate, celebrano i propri riti ancestrali. E dove ancora, emanati dagli irriducibili, vi si applicano i decreti apodittici che condannano gli infami all’abiezione e sollevano, a forza, i duri , verso l’unica ‘redenzione’ possibile nel mondo degli “ultimi uomini” - l’illuminazione.





Agnese Maria Fortuna, Il contagio del male, Aleph edizioni, Montespertoli, 2006



“Perché l’uomo è incline a consentire al male? Secondo The Addiction (1994) di Abel Ferrara, il male è una patologia che crea dipendenza viziosa, così come una sostanza stupefacente, e che si propaga per contagio. Il libro cerca una risposta analizzando, da un punto di vista filosofico e teologico, le metafore utilizzate nel film, quella delle tenebre e quella della dipendenza viziosa, nella forma ambivalente del vampirismo e della tossicodipendenza.”





Arthur Branwen, Ultima Thule, Julius Evola e Herman Wirth, Quaderni del Veltro, Parma, 2007



Oramai essendo prossimi alla fine del presente ciclo di Manifestazione, e vicini a sconvolgimenti epocali di natura non soltanto ‘storica’, le pubblicazioni e gli studi che si occupano di questo o quell’aspetto di civiltà scomparse aumentano considerevolmente. Per orientarsi al meglio è però opportuno lasciarsi guidare dagli autentici Maestri e non da improvvisati tuttologi. Tra questi, in Occidente, sono da annoverare Reneé Guénon e Julius Evola. “Per comprendere le variegate radici del suo [di Evola] pensiero appare utile soppesare tutta una serie di personaggi e autori cui Julius Evola fa riferimento o sui quali sovente si appoggia, considerati le personalità che avrebbero potuto indicare un diverso tipo di indagine, una nuova capacità di affrontare il problema dell’uomo e di creare una nuova ermeneutica in grado di puntare non alla mera illustrazione dei fatti e degli avvenimenti succedutisi nella storia umana, ma a spiegarne la “terza dimensione”, la sola in grado di portarsi sulle “forme sapienziali”.“Il Wirth - una delle personalità che, insieme a Bachofen, più hanno influenzato Evola in questi campi- ha preteso di ricostruire non solo la storia della razza nordico-atlantica, ma altresì la sua religione. Sarebbe stata una religione già superiore, monoteistica, assai distinta dall’animismo e dal demonismo degli aborigeni negreidi o finno-asiatici, una religione senza dogmi, di una grande purezza e potenzialmente universale.(…) La religione primordiale del 15.000 avanti Cristo sarebbe dunque stata solare e compenetrata di una legge universale di “eterno ritorno”, di morte e di rinascita.(…) Così il Wirth parla di un monoteismo nordico primordiale e di un “cristianesimo nordico cosmico” che risalirebbe dunque a migliaia di anni avanti Cristo.”





Hugo Chàvez, Aleida Guevara, Chavez il Venezuela e la nuova America Latina, Vallecchi, Firenze, 2009



Nell’intervista concessa alla figlia del Che, Aleida Guevara, si compone agli occhi del lettore la fisionomia del carismatico presidente venezuelano Ugo Chavez, erede dell’eroe popolare Simòn Bolìvar, aristocratico rivoluzionario simbolo del riscatto nazionale e socialista dei popoli latino-americani.

Inutile -ma non troppo- ricordare i legami storici tra movimenti rivoluzionari sudamericani ed europei, segnatamente italiani. Terza Posizione, in particolare, negli anni plumbei delle destre scioviniste e beghine di stampo badogliano-almirantiano, ruppe con tutto il filisteismo borghese e filo-atlantico espresso dall’allora MSI riconoscendo e sostenendo attivamente la causa dei popoli in lotta contro l’imperialismo culturale, economico e militare USA.

Oggi Chavez, non a caso ostracizzato dalle stesse destre “d’ordine” di ieri, riprende consapevolmente la lotta del nobile Libertador in una prospettiva di liberazione nazionale panamericana, stringendo rapporti significativi con tutti quegli Stati - anche fuori dei confini americani- che si ritrovano ad esprimere la stessa volontà di affrancamento nei confronti della pirateria yankee. Non da ultimo va ricordata l’espulsione dell’ambasciatore israeliano a Caracas per protesta nei confronti della recente mattanza di Gaza, passata invece sotto il complice silenzio degli Stati democratici ‘umanitari’ e omologati. Dice Neruda: “ Bolivar si risveglia ogni cento anni, quando il popolo si sveglia”. Chavez risponde: “ In carcere ho potuto sviluppare l’idea della consapevolezza della necessità, cioè dell’essere coscienti o meno del ruolo che si stà giocando, qualunque esso sia, in vista di un progetto superiore. Allora non importa se sei incatenato in una prigione segreta: ti senti libero comunque, perché stai svolgendo il tuo ruolo e stai comprendendo la necessità di svolgerlo fino in fondo.”

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